Per molti anni si è ipotizzato un legame tra alluminio e malattia di Alzheimer anche se gli scienziati non si sono mai dimostrati concordi sull'argomento. Negli ultimi tempi, tuttavia, stanno emergendo sempre più evidenze di questo collegamento e uno studio pubblicato pochi giorni fa sembra proprio fare un ulteriore passo avanti, mostrando non solo l'esistenza di questo legame ma anche il processo con cui l'alluminio potrebbe inserirsi nell'innesco della neurodegenerazione. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Journal of Alzheimer's Disease Reports da parte di un team inglese (Mold et al, J Alzheimers Dis, 2021).
Come possiamo entrare in contatto con l'alluminio
L'alluminio è un metallo con cui possiamo entrare in contatto generalmente attraverso l'alimentazione. Additivi alimentari a base di alluminio sono stati ridotti già da diversi anni, tuttavia, l'alluminio può migrare nell'alimento quando c'è un contatto con utensili o materiali per conservarlo o imballarlo. Questo avviene soprattutto quando l'alimento è acido o salato, ma anche quando il cibo e il suo contenitore di alluminio vengono sottoposti ad alte temperature, come la cottura al cartoccio sulla griglia. Esistono poi anche cosmetici e medicinali contenenti alluminio. L'alluminio tende ad accumularsi nel corpo soprattutto in caso di scarsa funzionalità dei reni.
Il legame tra alluminio e Alzheimer, lo studio
Negli ultimi tempi sta emergendo sempre più chiaramente il legame tra alluminio e l'inizio della malattia di Alzheimer. Un contributo a questa ricerca lo stanno dando due studiosi, i dottori Mold e Exley, autori dello studio di cui parliamo oggi. I ricercatori, infatti, hanno studiato con tecniche di immunomarcatura e fluorescenza la localizzazione dell'alluminio nei tessuti di persone affette da una forma di Alzheimer precoce, che avviene prima dei 65 anni. L'Alzheimer, in tutte le sue forme, sia precoce che senile, è caratterizzato da accumuli di proteine beta amiloidi, più facili da identificare perché esterni alle cellule, e da aggregati di proteine tau, più difficili da analizzare in quanto intracellulari. Entrambi questi aggregati risultano tossici per i tessuti cerebrali, da qui la perdita di funzionalità dei neuroni e l'affermarsi del declino cognitivo nella malattia di Alzheimer. Ebbene, i ricercatori inglesi sono stati in grado di osservare un'alta presenza di alluminio sia negli aggregati beta amiloidi che in quelli delle proteine tau. Questa presenza significativa di alluminio non è invece stata osservata nel cervello di persone sane. Non solo, in base ai dati a disposizione, i ricercatori hanno potuto affermare che nella sua prima fase la malattia di Alzheimer è caratterizzata dagli accumuli di proteine beta amiloidi e solo successivamente presenta la formazione anche di aggregati di proteine tau. L'alluminio gioca un ruolo decisivo nell'avanzamento di questi stadi e questo permette di ipotizzare che l'alluminio possa favorire l'accumulo sia delle proteine beta amiloidi che tau.
Meno alluminio è meglio
I ricercatori concludono il loro lavoro affermando che una riduzione dell'alluminio presente nel corpo potrebbe portare benefici nel trattamento per contrastare l'Alzheimer.