Cervello e intestino sono collegati, la salute di uno dipende dalla salute dell’altro. Quando si hanno alterazioni nel microbiota, che è l’insieme dei batteri che costituiscono la nostra flora intestinale, questo può causare una serie di processi che portano a neuroinfiammazione, danni ai neuroni e infine, sul lungo termine, anche malattie degenerative come l’Alzheimer. E noi cosa possiamo fare? Sicuramente prenderci cura del nostro microbiota, come emerge da una recentissima review pubblicata sulla rivista Nutrients da un team lituano (Megur et al, Nutrients, Dec 2020).
Per molto tempo si è ritenuto che il microbiota avesse un ruolo solo per quanto riguarda i processi che avvengono a livello dell’intestino, quindi digestione e barriera per i patogeni che sono arrivati fino al tratto gastrointestinale. Tuttavia, sempre più ricerche confermano che il microbiota gioca in realtà un ruolo molto più vasto, supportando il sistema immunitario, proteggendo dal sovrappeso e da condizioni di infiammazione cronica. Non solo, il microbiota comunica anche con il cervello e un suo sbilanciamento porta a infiammazione, alla successiva attivazione della risposta immunitaria e a un’alterazione del rilascio di neurotrasmettitori e quindi del funzionamento del cervello. Per esempio, diversi ceppi di batteri intestinali possono sintetizzare serotonina, o ormone del buonumore, che poi entra nel circolo sanguigno fino a raggiungere il cervello. Se questi batteri, in seguito a modifiche nella flora batterica e infiammazioni, non possono più lavorare in modo efficace, si riduce anche la serotonina in circolo. Non solo, è stato osservato che, in persone con Alzheimer, il microbiota risulta impoverito di quei batteri capaci di produrre acido butirrico, dall’azione antinfiammatoria e capace di proteggere il cervello. Infatti, bassi livelli di acido butirrico sono associati a neuroinfiammazione e decadimento cognitivo. E non è finita qui, studi molto recenti hanno osservato che l’Alzheimer può persino partire dall’intestino e poi diffondersi al cervello. In particolare, quello che è stato rilevato è che alcuni batteri intestinali, non appartenenti ai cosiddetti batteri buoni del microbiota, come Escherichia coli, Salmonella enterica o Staphylococcus aureus, possono produrre accumuli di proteine amiloidi. Oggi sappiamo che l’Alzheimer è il risultato di accumuli di proteine amiloidi nel cervello. Questi accumuli prodotti dai batteri non sono uguali a quelli che si formano nel cervello ma sono molto simili. Si ritiene che la comparsa di questi accumuli nell’intestino aumenti la risposta immunitaria e induca il rilascio di aggregati beta amiloidi nel cervello.
I probiotici, come sottolineato nell’articolo, possono contribuire a normalizzare il microbiota intestinale e i processi che collegano intestino e cervello. È stato osservato, per esempio, che l’assunzione di probiotici, in particolare Bifidobacterium breve, in un modello animale ha protetto la funzionalità cognitiva in caso di Alzheimer. Lactobacillus casei è risultato utile a ridurre la neuroinfiammazione. Anche batteri del tipo Lactobacillus acidophilus, Bifidobacterium bifidum, e Lactobacillus fermentum si sono dimostrati capaci di proteggere il cervello e la sua funzione. Si ritiene che, oltre all’azione antinfiammatoria e di regolazione degli scambi intestino cervello, i probiotici siano anche in grado di attivare quella risposta immunitaria capace di rimuovere le placche di proteine beta amiloidi già formate. Tuttavia, ancora molto rimane da capire e soprattutto occorre studiare le giuste dosi di probiotici per un possibile trattamento contro l’Alzheimer. Intanto, quello che è in nostro potere fare, è seguire una dieta sana e varia che includa anche probiotici.