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Mangiare pesce protegge il cervello dal decadimento cognitivo e dalla demenza

Mangiare pesce protegge il cervello dal decadimento cognitivo e dalla demenza

dicembre 03, 2022
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Mangiare pesce fa bene alla memoria, anche in caso di neurodegenerazioni. Questa importantissima notizia arriva da uno studio molto recente pubblicato sulla rivista Nutrients grazie al lavoro di un team giapponese della Kansai Medical University di Osaka (Murakami et al, Nutrients, 2022).

Alimentazione e cervello

L'alimentazione ha un ruolo essenziale quando si tratta di proteggere il cervello e la funzionalità cognitiva dal rischio di sviluppare demenza nel corso degli anni. Molto si è parlato del pesce dal momento che un elevato consumo di questo alimento sembra proteggere dai danni che possono colpire i vasi sanguigni cerebrali, riducendo così il rischio di sviluppare, con l'età, decadimento cognitivo e demenza. In particolare, quando si parla di pesce e della sua azione neuroprotettiva ci si riferisce sempre al suo contenuto in acidi grassi omega 3. Gli acidi grassi omega 3 sono, infatti, sostanze antinfiammatorie, antiossidanti, capaci di proteggere i vasi sanguigni e di ridurre i livelli di colesterolo. In realtà, studi compiuti fino ad ora non hanno saputo mostrare un chiaro legame tra l'assunzione di omega 3 e protezione della funzionalità cognitiva, anche in caso di Alzheimer. Evidenti benefici si sono osservati unicamente in caso di Alzheimer molto lieve e nelle fasi iniziali. Il pesce, però, non contiene solo omega 3 ma anche proteine. In particolare, uno studio precedente ha osservato che le proteine del pesce inibiscono la formazione di placche beta amiloidi, una caratteristica distintiva della malattia di Alzheimer. Nella ricerca di cui parliamo oggi gli scienziati hanno valutato gli effetti delle proteine del pesce sulla funzionalità cognitiva.

Le proteine del pesce prevengono la perdita di memoria, lo studio

Allo scopo di studiare l'effetto dell'assunzione di pesce, e quindi delle sue proteine, i ricercatori hanno elaborato un esperimento compiuto in laboratorio sui topi. I topi presentavano tutti un cervello invecchiato prematuramente con una riduzione della memoria e della capacità di apprendimento e con modifiche nella struttura cerebrale simili a quelle osservate in persone con l'Alzheimer. I topi sono stati divisi in tre gruppi. Al primo gruppo sono state somministrate proteine del pesce, in particolare merluzzo dell'Alaska, al secondo gruppo olio di pesce contenente acidi grassi omega 3 e il terzo gruppo è stato tenuto come controllo. Dopo 5 mesi quello che è emerso da analisi e test è che le proteine del pesce hanno saputo migliorare la memoria a breve termine nei topi con invecchiamento precoce e decadimento cognitivo. Non solo, i topi che avevano assunto le proteine del pesce non presentavano alterazioni a livello della morfologia degli assoni dell'ippocampo. Gli assoni sono le ramificazioni dei neuroni che trasmettono i segnali ad altri neuroni mentre l'ippocampo è la parte del cervello coinvolta nell'immagazzinamento delle informazioni, quindi nella memoria, oltre a essere una delle prime parti ad essere interessate da eventuali neurodegenerazioni. L'olio di pesce ha permesso di ridurre i livelli di colesterolo circolanti ma non è stato in grado di apportare un miglioramento nella funzionalità cognitiva né ha protetto gli assoni dei neuroni dell'ippocampo.

Conclusioni

Pertanto, mangiare pesce fa bene al cervello e aiuta a ridurre il rischio di decadimento cognitivo e demenza. Da qui l'importanza di includere nella propria dieta, varia e bilanciata, anche pesce. Nella ricerca in esame gli scienziati si sono limitati a valutare gli effetti neuroprotettivi del merluzzo ma certamente un possibile sviluppo della ricerca potrà essere l'analisi dell'azione sul cervello di altri tipi di pesce. La ricerca aggiunge poi un altro dettaglio, che fa capire quanto sia importante non farsi mancare il pesce. Infatti, sempre lo stesso gruppo di ricerca ha osservato che le proteine del pesce, in particolare di merluzzo dell'Alaska, sono in grado di ridurre il rischio di steatosi epatica, o fegato grasso, e, attraverso un'azione di supporto al microbiota, anche di contribuire a regolare la glicemia e di migliorare la sensibilità all'insulina.

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